Il percorso lungo la costa tra Valderice e Trapani, sito le
pendici del monte di Erice, è costellato da scogliere bellissime, per lunghi
tratti non ancora inurbate e con il mare che pare una tavola liscia di
bigliardo.
La giornata è promettente.
La parte vecchia di Trapani è posta all’estremo di una penisola a forma di lama
di falce. Il porto all’interno riparato a sud est da una lunga banchina
frangiflutti, all’esterno della lama il mare. In lontananza s’intravvede
l’arcipelago delle Egadi: in ordine di lontananza Levanzo, Favignana e
Marettimo. Parcheggiamo l’auto nel piazzale in cima al porto e iniziamo la
visita alla città percorrendo la strada che conduce verso il centro.
Dopo alcune centinaia di metri gli edifici diventano sempre
più eleganti, con preziose facciate che ricordano residenti benestanti,
commercianti facoltosi, chiese, negozi e
pubblici esercizi con all’esterno poltroncine e tavolini. E’ tarda mattinata ma
gli avventori sorseggiano ancora il caffè accompagnato da pasticcini alle
mandorle.
Da noi sarebbe l’ora dell’aperitivo.
Per far trascorrere il tempo prima di pranzo esploriamo
alcune viette laterali che portano alle vecchie mura della città con vista sul
mare. Alcuni gabbiani svolazzano e si posano sugli scogli per osservarci, si
mettono in posa e attendono la fotografia di rito.
Da un’amica avevamo avuto l’indicazione di un ristorante che
ha fama di essere la miglior cucina del centro storico: “La bettolaccia”. La
cerchiamo tra le stradine e i vicoli e solo dopo aver chiesto e richiesto
indicazioni agl’indigeni, caso fortuito ce la troviamo davanti. Non ha vistose
insegne all’esterno e, pertanto, riteniamo non abbia bisogno di essere
riconosciuta. Buon segno. Apre alle tredici. Brutto segno, dobbiamo attendere.
Decidiamo di cercare una panchina libera sul viale del porto, non tanto lontano
e possibilmente all’ombra.
Abitualmente il borsello lo porto a tracolla, al riparo da
brutte sorprese da parte di malintenzionati ma sedendomi sono costretto a
toglierla per comodità e appoggiarla a lato, naturalmente mantenendo un braccio
nella cinghia della tracolla. Cosa che immancabilmente ho fatto anche questa
volta.
Alla banchina del porto, proprio dinnanzi a noi, è ancorata
una nave da crociera Costa e con Gabriella
osserviamo, commentando, i numerosi ponti che si ergono come un palazzo
di dieci piani. Siamo leggermente stanchi e affamati.
All’improvviso mi ritrovo sbalzato per terra, un dolore
lancinante alla spalla e al braccio di sinistra, quello attorno al quale avevo
arrotolato la tracolla del borsello. Istintivamente stringo il braccio verso il
corpo mentre mi sento trascinare, ma non mollo. Il tutto nel giro di pochi
secondi, maggiore il tempo di descrivere che quello in cui si svolge
l’accaduto. Con la coda dell’occhio vedo una figura con giacca nera e cappuccio
correre verso una via laterale e nel frattempo quattro occhi che mi guardano e
voci che mi chiedono se mi son fatto male. Prima di rispondere guardo al
borsello ancora arrotolato attorno al braccio, che mi duole come se avesse
subito una scottatura, poi rispondo qualcosa ringraziando.Accanto a Gabriella una ragazza che mi guarda con preoccupazione, ha visto la scena da poco lontano ed è l’unica che è accorsa per soccorrermi.
Non sono spaventato, non ne ho avuto il tempo, solo incazzato per aver subito un’aggressione, per essere stato colpito nella persona e per il rischio corso di perdere il contenuto del borsello. Poi mi consolo pensando che allo scippatore è andata buca, avendo trovando qualcuno che in qualche modo ha calcolato le contromisure. Il giubbino che porto porta i segni della caduta e della strisciata sul viale, la spalla e il braccio mi fanno male ma non tanto da farmi desistere dal programmato pranzo alla Bettolaccia.
Al ristorante mi gusto un fritto di paranza che non dimenticherò!
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