Segesta

Segesta

Crociera con un passero “portoghese”.

 
L’appuntamento è fissato per le nove e venti sul molo davanti al battello “La Conia”. Augurandomi che il nome non corrisponda alla descrizione del vocabolario (scherzo, burla, celia), osservo le numerose persone che via via si avvicinano per imbarcarsi. Un gruppo, numeroso, è costituito da dipendenti e/o pensionati dell’Aeronautica Militare accompagnati dalle gentili consorti. La proverbiale contrapposizione tra Marina e Aeronautica svanisce di fronte alla vacanza turistica.

Con Gabriella scegliamo il ponte superiore, anche se una leggera brezza inizia a spirare da sud ovest. Appena fuori dal riparo del porto la brezza aumenta e il mare è leggermente increspato, ma non procura alcun fastidio. Superiamo la torre della Colombaia, detta anche Torre Peliade o Castello di mare, posta su un’isoletta all’estremità orientale del porto di Trapani.
 
Costeggiamo l'isola di Formica sulla quale esiste ancora una vecchia tonnara, i resti di due antichi edifici e di una costruzione fortificata, su cui è costruito un faro.

 

Ci avviciniamo velocemente a Favignana che ormai dista poche miglia e che presenta il suo profilo inconfondibile per metà montuoso e metà pianeggiante. All’ingresso del porto sono visibili i capannoni della tonnara e dello stabilimento Florio che lavorava e inscatolava il tonno. L’impero Florio, nell’ottocento, era conosciuto non solo in Italia ma anche all’estero come produttore ed esportatore di tonno e di vino, grazie ai suoi vigneti presenti nella zona di Marsala.
 
 
Sulla vetta del monte che sovrasta il borgo e il porto è visibile il castello (il forte di Santa Caterina) dove, durante il periodo borbonico, fu rinchiuso il mazziniano Giovanni Nicotera che venne poi liberato dai Garibaldini dopo lo sbarco dei Mille. Favignana fu utilizzata nel ventennio, dal governo fascista, soprattutto come prigione e luogo di confino per gli avversari politici.

Una passeggiata tra le vie e le piazzette del borgo e poi via di nuovo con il battello per visitare la parte scenograficamente più interessante dell’isola: l’area est dell'isola dove vi sono molti giardini detti ipogei, curati e coltivati all'interno delle cave di tufo ormai dismesse.

 
 

Dalla costa le cave di tufo, enormi caverne, sono presenti lungo tutta la costa sino alla baia azzurra, oltre l’estremità est dell’isola.


 
 
 
 
.In questa baia, al riparo dalle seppur lievi onde del mare, è consentita la balneazione, opportunità colta al volo da molti giovani, ragazze e ragazzi, presenti sul battello e pure da qualche meno giovane in cerca di virile dimostrazione di coraggio. Non mancano gli indispensabili “selfie” che certificheranno l’ardimentosa prova. In seguito è servito il pranzo: “Busiati cu l'agghia pistata” (pesto alla trapanese), annaffiato abbondantemente da buon vino bianco siciliano.
Terminato il pranzo la prossima destinazione è Levanzo.

Il mare ha iniziato a incresparsi maggiormente e il rullio del battello si fa più evidente anche se non preoccupante.



 
Levanzo ci si presenta con il tipico faraglione sulla punta est e con il piccolo borgo addossato alla montagna. Molto più bella di Favignana, l’isoletta è uno scrigno di casette bianche poste a cerchio attorno al porticciolo. Due bar, dalle cui terrazze si può ammirare il porto e la lontana Favignana e qualche piccolo negozietto ancora chiuso nel caldo pomeriggio d’inizio autunno.

Ho il tempo di sorseggiare un caffè e di chiedere a un indigeno le indicazioni riguardanti l’abitazione, estiva di un mio concittadino. Prendo nota e fotografo l’edificio proprio sul porto e fronte mare. Fortunato il Luciano, tornato a casa gli spedirò le fotografie: “anch’io c’ero !”. Altra sosta per una possibile balneazione a Cala Minnoia, questa volta con il cielo che non prometteva nulla di buono, e poi ritorno a Trapani.
 
 
 
 
A metà percorso mi accorgo di un passero che da buon “portoghese” viaggia con noi appoggiato sul corrimano del battello. Probabilmente ha sfruttato il passaggio sulla barca per spostarsi con meno fatica da Levanzo a Trapani. Il capitano dell’imbarcazione, con molto senso di ospitalità, non gli chiede il biglietto.

Sin’ora tutto è andato per il verso giusto ma, come dice Trapattoni, “non dire gatto finché non l’hai nel sacco”. Il vento rinforza e ci coglie un acquazzone.  Per un po’ il telo, teso sopra il ponte, tiene ma non appena il rollio aumenta l’acqua raccolta nel telo, precipita a mo’ di doccia sugli sfortunati gitanti seduti sul lato esterno del ponte, prima a destra e poi a sinistra. Lavata generale anche per il sottoscritto. A Gabriella è andata bene, si era appena spostata, io sono mezzo fradicio. Il passerotto è sparito.

Al porto troviamo il sole, un bel tramonto con la palla rossa che lentamente cala
 a ovest e come dice il proverbio: “rosso di sera bel tempo si spera.”, per domani abbiamo programmato la visita ai resti fenici di Mozia.
 
 

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